Le donne in Italia guadagnano mediamente l'11% in meno degli uomini e occupano solo il 18% delle posizioni di comando
Milano, 25 ottobre 2016 - I dati parlano chiaro: secondo il Gender Gap Report 2016, le donne guadagnano meno degli uomini e non poco. Per l'esattezza, le donne guadagnano il 10,9% in meno degli uomini, pari a una media di 3.620 euro annui.
In Italia, nel 2015, la retribuzione annua media di una donna è stata di 26.725 euro, mentre un uomo guadagna mediamente 29.985 euro lordi. Differenze che valgono 3.620 euro all'anno in meno per una donna, 11mila euro se parliamo di ruoli dirigenziali.
Sembra una leggenda metropolitana, invece è tutto vero: a parità di mansioni, uomini e donne non godono dello stesso trattamento.
Anziché migliorare, la situazione, rispetto al 2014, anno dell'ultimo report, è addirittura peggiorata: gli stipendi degli uomini sono saliti dello 0,6%, quelli delle donne hanno subito un taglio dello 0,7%.
Secondo un recente studio del World Economic Forum le donne guadagnano oggi quel che gli uomini già guadagnavano dieci anni fa: per avere la parità salariale nel nostro occidente industrializzato occorrerà aspettare ancora 117 anni.
"Pensiamo ad esempio alle donne avvocato che dal nord al sud Italia guadagnano in media il 50% in meno rispetto ai colleghi uomini: questi i risultati dei compensi a confronto – spiega Simone Colombo, consulente del lavoro ed esperto di direzione del personale in outsourcing– Nemmeno le donne medico sfuggono a tale regola. I dati pubblicati dall'Enpam mostrano come, a parità di ruolo, una donna medico guadagni in media il 30% in meno rispetto ad un suo collega maschio".
A livello europeo le donne guadagnano in media circa il 16,4% in meno degli uomini, un dato comunque in calo rispetto al 17,5% del 2011.
Questa forbice varia a seconda dei Paesi: è inferiore al 10% in Slovenia, Polonia, Lussemburgo, Romania e a Malta, sfora il 20% invece in Ungheria, Slovacchia, Repubblica Ceca, Germania, Austria e Estonia.
L'Italia rappresenta in realtà un caso molto particolare: scopriamo infatti che i salari delle donne italiane non sono tra i più penalizzati e che l'Italia si posiziona ottava su 31 Paesi analizzati.
Il divario retributivo di genere nel nostro Paese si assesta ben al di sotto della media europea e, a distanze quasi siderali dalle percentuali della Germania, fa segnare un preoccupante 22,4%.
E ancora migliore è, a livello globale, il risultato ottenuto nell'istruzione (22° in Europa su 45).
Nonostante l'elevato grado di scolarizzazione (le laureate sono quasi 2,4 milioni), le donne mantengono nella retribuzione una differenza in negativo che va aumentando con l'ascesa nella gerarchia professionale, fino a toccare i quasi 11mila euro di differenza tra dirigenti uomini (105.983 euro medi annui) e donne (94.750 euro medi annui).
Quando però si approfondiscono meglio le questioni si scopre che i dati europei non tengono conto del basso tasso di occupazione femminile tra i 15 e i 64 anni nel nostro Paese, bloccato al 46%, contro il 70,7% degli uomini.
A parte la Grecia e la Spagna, tutti gli altri paesi EU hanno un tasso di occupazione femminile oltre il 55%, che supera il 65% nei Paesi del Nord Europa.
Inoltre, il dato medio italiano sul tasso di occupazione femminile nella classe di età 15-64 cela ampie differenze territoriali e generazionali: nel Nord è pari al 56%, mentre nel Mezzogiorno è fermo al 31%.
Infine, a rendere ancora meno tranquillizzante il nostro scenario nazionale, c'è da rilevare che in Italia, accomunata in questo ad altre poche realtà come Ungheria e Portogallo, il divario anziché diminuire, come avviene a livello comunitario, cresce con il passare degli anni: era infatti al 4,9% nel 2008, è lievitato al 5,5% nel 2009, per arrivare appunto al 10,9% nel 2016.
Un'ultima considerazione riguarda le donne in posizioni di comando in politica e in economia, dove il sesso femminile è ancora scarsamente rappresentato.
Nel 2013 nei consigli di amministrazione delle principali società quotate in borsa dell'Unione europea le donne erano rappresentate solo per il 17,8%, mentre le amministratrici delegate non hanno superato il 4,8%.
E nel pubblico? Prendiamo ad esempio la magistratura, dove la situazione rispecchia esattamente ciò che accade nel privato: delle 252 nomine fatte dal Consiglio superiore della magistratura negli ultimi 15 mesi nel nostro Paese, agli incarichi direttivi si contano 101 sono uomini e solo 25 donne; se si esaminano i vicedirettivi, 83 sono uomini e 43 sono donne.
"A livello di libera professione il divario sembra ancora più importante: se prendiamo ad esempio l'Ordine dei commercialisti le donne rappresentano solo il 30,6% del numero di iscritti. Solo la provincia di Savona ed Oristano hanno un divario limitato con un 45% di rappresentanti femminili, mentre Bolzano e Marsala sono il fanalino di coda con meno del 20% di donne iscritte. Quello che però preoccupa di più è la differenza di reddito: le casse previdenziali evidenziano ad esempio che in Lombardia se il reddito medio dichiarato da un uomo è di circa 120.000 € annue, le donne guadagnano in media 59.000 €, quindi il gap è ancora più alto rispetto alle posizioni dirigenziali in azienda", puntualizza Colombo.
"Infine, e questo è un problema tipicamente italiano, le donne scelgono spesso formule di lavoro part-time per poter conciliare famiglia e vita lavorativa. Gli obblighi familiari riducono infatti in genere le possibilità di una donna di fare carriera e guadagnare di più. Il divario salariale risulta non a caso maggiore per le donne con figli o che lavorano part-time", conclude Colombo.
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